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05 Mag

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04 Mag

Cos’è

Cos’è il circuit training?

Per molti, il circuit training (allenamento a circuito o circuito di allenamento) è un tipo di workout ideale per conciliare dimagrimento e tonificazione. Tuttavia, le caratteristiche di questo metodo sono ben più numerose, molte delle quali vantaggiose, anche se con alcuni punti critici da non sottovalutare; più avanti entreremo ulteriormente nel dettaglio.

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Circuit training è tuttavia una dicitura generica, perché le combinazioni, le varianti, le interpretazioni e le personalizzazioni dell’allenamento a circuito sono davvero infinite. Qualsiasi sistema che prevede l’organizzazione a percorso con stazioni fisse può essere definito circuito di allenamento. Alcuni esempi di metodi derivati, o comunque simili, sono: aerobic circuit training o cardio fit training, PHA, cardio PHA, spot reduction ecc.

Il circuit training può essere utilizzato per diversi scopi. Di seguito proporremo le ragioni che più frequentemente spingono sportivi e culturisti a sfruttarlo nella programmazione ordinaria.

 

Dimagrimento e Tonificazione

Circuit training per conciliare dimagrimento e tonificazione

Le più recenti ricerche dimostrano che, tra i vari programmi di attività fisica motoria per perdere peso, quelli che “funzionano meglio” sono di tipo promiscuo, ovvero ripartiti tra attività aerobica e anaerobica, intervallati tra bassa e picchi di altra intensità (High Intensity Interval Training). Il circuit training è un modo eccellente per alternare blocchi di attività aerobica di medio o basso impegno a stazioni di HIIT, anche in callistenia (a corpo libero).

L’attività aerobica favorisce il consumo dei substrati energetici di riserva come glicogeno e acidi grassi, ottimizzando il metabolismo glicidico e riducendo direttamente il trofismo del tessuto adiposo, mentre le esecuzioni ad alta intensità aumentano il debito di ossigeno e migliorano il tono muscolare – talvolta stimolando anche l’ipertrofia, a seconda del metodo.

Sarebbe comunque inutile adottare anche il più duro dei circuit training senza un’opportuna strategia alimentare. Il dimagrimento è la conseguenza di un bilancio energetico negativo, cioè il risultato aritmetico di [Energia IN – Energia OUT]; significa che le calorie assunte con la dieta devono essere inferiori a quelle consumate con l’allenamento.

È quindi possibile aumentare – in maniera generalmente significativa – il dispendio dei substrati energetici. Tuttavia, il dimagrimento sopraggiunge solo nel momento in cui la dieta rimane la stessa di quando si era sedentari, o comunque aumenta in maniera poco rilevante. Ciò potrà sembrare ovvio alla maggior parte dei lettori ma, in verità, è tutt’altro che scontato.

L’esercizio fisico, si sa, determina una maggior sensazione di appetito; lo si deve alla riduzione della glicemia e alla depauperazione delle riserve di glicogeno – soprattutto epatiche. Quindi, se da un lato la pratica sportiva ci aiuta a consumare di più, dall’altro potenzia lo stimolo di appetito e fame. Diventa pertanto indispensabile mantenere un certo autocontrollo, senza cadere nella sovrastima di quanto si può aver “bruciato” durante la sessione. In tal caso potrebbe essere fondamentale l’intervento di un dietista, che organizzerà il piano alimentare differenziando le giornate prive di allenamento con quelle di training.

Inoltre, se organizzato ad alta intensità, il circuit training ha un consumo prevalente di carboidrati rispetto ai grassi, con alto coinvolgimento del metabolismo anaerobico lattacido. L’effetto dimagrante si può quindi ottenere in maniera diretta sfruttando l’EPOC (debito di ossigeno), tanto quanto in maniera indiretta grazie ad una superiore tolleranza ai carboidrati alimentari (maggiore sensibilità insulinica ed “avidità” muscolare). Il dimagrimento diretto è ottenuto principalmente grazie all’EPOC, ovvero sull’ossidazione lipidica che avviene dopo l’interruzione dell’allenamento; tanto è alto il carico di allenamento (volume + intensità), tanto maggiore è il debito di ossigeno e quindi il metabolismo basale post-allenamento. Il dimagrimento indiretto invece, che sfrutta la maggior capacità di metabolizzare i carboidrati alimentari, è sostenuto da due condizioni indipendenti:

  • la prima è di tipo acuto, post esercizio e legata all’EPOC, e viene detta “finestra anabolica”. Essa sfrutta la maggior avidità muscolare ai carboidrati (e non solo) che, nei primissimi minuti (15′) dopo l’allenamento, è addirittura di tipo insulino-indipendente; nei 45′ successivi invece, sfrutta il convenzionale sistema insulina – glut4 ma con un’altissima affinità. Al trascorrere del tempo, questa diminuisce sempre più fino a raggiungere la condizione basale
  • la seconda invece, di tipo basale, è rappresentata da una maggior efficienza del metabolismo glucidico generale, grazie ad un allenamento costante ed efficacie.

Per ottenere un EPOC e una finestra anabolica sufficienti, tuttavia, è necessario conquistare un livello di allenamento molto elevato, che sopraggiunge solamente dopo molte settimane o mesi dall’inizio dell’attività. Il dimagrimento, quindi, è un obbiettivo cronologicamente secondario, volendo anche una conseguenza, del condizionamento muscolare e metabolico generale.

 

Forza e Resistenza

Circuit training come connubio tra allenamento di forza e resistenza

Ad oggi, qualsiasi tipo di allenamento può definirsi “completo” solo se costituito da sessioni anaerobiche, aerobiche e di flessibilità muscolare – mobilità articolare. Ovviamente, la percentuale e l’importanza di ognuna dipende dall’obbiettivo; un culturista non può dedicare troppe energie all’allenamento cardio-vascolare (nemmeno in fase di cutting), così come un fondista dovrebbe cimentarsi solo marginalmente in workout di potenziamento (necessari al preservamento della massa muscolare). Infine, con eccezione delle discipline che ne richiedono prestazioni avanzate, flessibilità muscolare e mobilità articolare vanno gestite in modo da ottimizzare una condizione di media entità ma senza togliere spazio al corpo della programmazione.

Soprattutto nelle preparazioni atletiche degli sportivi evoluti, ogni sessione può contenere tabelle con obbiettivi differenti, raggiungendo una durata che supera i 120′. Questo diventa invece piuttosto complicato nel caso di neofiti amatori del fitness, del wellness e della cultura estetica – sia per questioni di tempo, sia per ragioni di eccessivo affaticamento. D’altro canto, come biasimarli. Sono ben poche le persone capaci di inserire nella stessa giornata 60-90′ di resistance training e 45-60′ di attività aerobica; figuriamoci nello stesso allenamento.

Con l’unica pecca di aumentare notevolmente la densità di allenamento, quindi l’affaticamento metabolico generale nell’unità di tempo, il circuit training può risolvere questo problema. Facendo un piccolo esempio: supponiamo di dover rispettare una tabella di potenziamento della normale durata di 80′, dei quali almeno 40′ sono costituiti da recuperi passivi tra serie e ripetizioni, riscaldamento e defaticamento. Questo tempo, necessario a far recuperare il distretto affaticato, nel circuit training viene investito per svolgere attività aerobica. Se ogni esercizio (del quale andranno svolte almeno 3 serie) costituisse una postazione del circuito, questo avrebbe almeno 9 posizioni. Terminata ogni serie, invece di fermarsi, andrebbero quindi eseguiti 3-4′ di attività aerobica – come corsa, anche su tapis roulant, cyclette, salto con la corda, remoergometro, stepper, excite, ellittica ecc. Il tutto ripetuto per 3 volte. Decisamente comodo e pratico.

Per di più, in chi non fa uso di sostanze dopanti, l’attività aerobica prolungata e intensa può ostacolare la crescita, peggiorare il recupero o addirittura indurre un leggero catabolismo della massa muscolare – in particolare quella direttamente implicata, come le gambe nella corsa. Il circuit training, dal canto suo, difficilmente consente di raggiungere intensità tali da strutturare un vero e proprio protocollo di massa o di forza pura. D’altro canto, viste le sue proprietà, nel medesimo contesto si rende ottimo durante i periodi di cutting, nei quali è necessario incrementare il dispendio energetico mantenendo intensità di allenamento con i pesi comunque significative.

Forza Resistente

Circuit training per la forza resistente

Non è da confondere con il punto precedente. La forza resistente, che si differenzia in base alla durata – breve, lunga ecc – è una caratteristica atletica a sé stante.

Non c’è molto da dire a riguardo; per sviluppare la forza resistente si rende necessario eseguire sessioni lunghe diversi minuti dello stesso esercizio. Poiché l’esaurimento totale di ogni distretto muscolare non consente di raggiungere volumi di allenamento efficaci, è auspicabile ridurne il carico ed eseguire più serie. Ovviamente, dando per scontato un recupero idoneo, se i distretti sono più di uno, la seduta potrebbe divenire più lunga del necessario. Giocando sulla densità, ovvero alternando ogni esercizio come stazione del circuito, ed eseguendo più giri dello stesso, è possibile ottimizzare il workout sia in termini di efficacia che di praticità.

Allenamento Giovanile

Circuit training per l’allenamento giovanile

Ormai da venti o forse trent’anni, le categorie giovanili – sotto i 16 anni – non vengono più allenate con l’utilizzo di grossi sovraccarichi. Le ragioni sarebbero principalmente legate ad alcuni luoghi comuni, come la diceria che il sollevamento pesi sia in grado di ostacolare la crescita di statura.

Va comunque specificato che, soprattutto negli anni 70-80, ci fu un abuso, o meglio una cattiva gestione, dei pesi nell’allenamento giovanile. Il risultato fu un aumento degli infortuni, una riduzione della durata della carriera sportiva e non solo.

È quindi un fatto positivo che i più giovani debbano gestire meno ghisa; il divertimento, le abilità motorie di base e le caratteristiche tecniche sono certamente più importanti. D’altro canto, sarebbe ipocrita ignorare il mondo dell’agonismo. In certi sport che molti definiscono “poveri”, come ad esempio il canottaggio, è essenziale educare progressivamente muscoli, tendini e articolazioni a muovere carichi che vanno oltre quelli ordinari.

In queste circostanze, circuit training di ogni tipo, meglio se misti tra callistenia e con attrezzi, a tempo o a numero di ripetizioni, con pause di recupero passivo o senza, magari intervallati da attività aerobica, possono risultare la soluzione più idonea.

Esempio

Esempio di circuit training per dimagrimento e tonificazione di un principiante

Vediamo ora un esempio di circuit training destinato alla tonificazione della muscolatura di cosce e glutei, e alla perdita dei chili in eccesso.

ESERCIZIO SERIE x REPS
Bike 5 minuti
Ponte glutei 1 x 20
Crunch 1 x 20
Vertical row 1 x 20
Stepper 4 minuti
Stacchi 1 x 15
Crunch inverso 1 x 15
Chest press 1 x 15
Synchro 3 minuti
Abductor machine 1 x 15
Adductor machine 1 x 15
Camminata in salita (7-12%) 5 minuti
Affondi con manubri in camminata 1 x 24 passi
Racline 4 minuti
RIPETERE 2 VOLTE
Fonte: MyPersonaTrainer
04 Mag

Introduzione

La pianificazione di un allenamento personalizzato in resistance training con i sovraccarichi deve rispettare i princìpi fisiologici noti, in modo da poter ottenere il massimo risultato in termini di crescita ipertrofica o di massa muscolare).

Shutterstock

In questo articolo cercheremo di chiarire quali siano i parametri utili a stabilire un piano di allenamento quanto più soggettivo possibile, ricordandoci che la scelta degli esercizi dovrà rispettare comunque le condizioni di flessibilità ed elasticità muscolare, e di mobilità articolare.

Composizione Muscolare

Tipi di fibre muscolari

Le fibre possono anche essere classificate in base alle loro capacità di contrazione: lenta ossidativa rossa (tipo I), intermedia (chiara) anaerobica glicolitica (tipo IIa) e rapida anaerobica fosfagena bianca (tipo IIb).

IIa e IIb vengono spesso unificate nella dicitura IIX, perchè non esiste una netta separazione tra le bianche e le intermedie, in quanto le caratteristiche non sono completamente esclusive.

Nota: la classificazione in base al colore si sovrappone in gran parte, ma non completamente, alle suddivisioni per MHC (myosin heavy chain) e attività mionsinica ATPasica.

Ora che abbiamo capito a quali fibre si attribuiscono i vari sistemi energetici di cui il nostro corpo si serve per produrre energia meccanica, quindi movimento, rimane da comprendere “quali” e “quante” fibre tipo I, IIa e IIb contengono i vari muscoli.

I muscoli sono tutti uguali?

La composizione in fibre è tendenzialmente diversa tra i vari muscoli, incidendo sulla scelta dei vari parametri allenanti (intensità, volume, densità, tempi di tensione, recupero ecc.).

Le differenze sono anche soggettive, ma non sembrano dipendere dal sesso o dall’età, anche se i bambini sembrano possedere scarse capacità anaerobiche. Nei sedentari, la media della percentuale di fibre indica una quasi parità tra I e IIx.

La percentuale cambia invece considerevolmente in base al background d’allenamento, poiché lo stimolo motorio può alterare l’attitudine metabolica periferica.

Come avvenga questa metamorfosi è ancora oggetto di studi. I più ritengono che nel macroinsieme delle fibre IIx, le cosiddette fibre intermedie fosfatagene IIa mostrino la capacità di “specializzarsi” in direzione ossidativa.

Questo sarebbe vero soprattutto per una moltiplicazione dei mitocondri, anche se ciò non spiegherebbe fino in fondo perché, all’analisi bioptica, i fondisti evidenzino comunque una percentuale di fibre lente tipo I o rosse e ossidative sproporzionatamente elevata.

Probabilmente questo è un primo adattamento, ovvero una risposta di medio termine, dei tessuti con un percentuale di fibre IIx considerevole.

Crescita di Massa Muscolare

Come incide la percentuale di fibre sulla crescita di massa muscolare?

La crescita muscolare, in termini ipertrofici ovviamente, è profondamente influenzata dalla tipologia di fibre che caratterizza il tessuto in oggetto.

Le tipo IIx (bianche e intermedie) hanno una spiccata tendenza alla crescita, perché sono quelle reclutate negli stimoli di forza elevati.

Poiché tutti i tipi di forza sono direttamente correlati alla sezione muscolare – ma non per questo proporzionali – è logico che l’adattamento primario di supercompensazione ad un allenamento di questo tipo sia la crescita del diametro trasverso.

D’altro canto, le fibre rosse hanno una ridotta capacità ipertrofica, ma in compenso possono sostenere i carichi di lavoro per tempi decisamente più lunghi e recuperare velocemente.

Al fine di sfruttare al meglio le capacità ipertrofiche generali, si necessiterà di allenamenti con parametri allenanti che volgono da una parte o dall’altra, a seconda della “ipotetica” composizione in fibre.

Tale variazione è sia intraindividuale, ovvero cambia da muscolo a muscolo, sia inter individuale, ovvero cambia da persona a persona. Ciò significa che l’allenamento dovrebbe differire in termini di parametri allenanti sia da un soggetto all’altro che da un distretto all’altro.

La ripartizione delle fibre di ogni muscolo del corpo è di natura genetica ma non sempre tocca tutti i muscoli allo stesso modo; un soggetto potrà avere dei muscoli gran pettorali con più fibre bianche o vasti mediali con più di fibre rosse rispetto alla media. Da qui, un ulteriore differente potenziale di crescita.

Non bisogna però commettere l’errore di credere che i princìpi fisiologici cambino a seconda del caso; è invece l’opposto. Nel senso che a mutare è la condizione basale, richiedendo di conseguenza l’applicazione di stimoli con maggior interesse di una via metabolica piuttosto di un’altra.

In quest’ottica, un “hardgainer” – spesso somigliante al cosiddetto modello ectomorfo – dovrebbe porsi una domanda:

vale più la pena tentare di bersagliare le fibre rosse, perché abbondanti in un determinato soggetto, o quelle chiare, perché hanno comunque un maggior potenziale?

La risposta potrebbe dipendere sostanzialmente da quante fibre rosse o chiare “dovrebbe” contenere un determinato muscolo. Per fare un esempio, i muscoli quadricipiti contengono mediamente il 52% di fibre di tipo I, mentre il soleo arriva all’80% circa; per entrambi, la rimanenza è di fibre IIx (sia IIa che IIb). Questo ci suggerisce che le cosce anteriori avranno certamente maggiori probabilità di rispondere alle alte intensità di carico rispetto al muscolo profondo del polpaccio.

Ciò detto, le fibre non sono comunque “tutto”. Nell’espressione di forza entrano in gioco altre variabili e quindi, a conti fatti, l’unica certezza è data dall’esito sperimentale.

Ad esempio, le difficoltà nell’allenamento della schiena potrebbero dipendere da fattori tecnici (esecuzione errata), anatomo-funzionali (mobilità scapolo-omerale) o biomeccanici (attitudine ad esaurire precocemente i flessori del braccio), più che di composizione muscolare.

Per questo si consiglia sempre di variare lo stimolo, con approccio scientifico e non casuale, in modo da testare la risposta ipertrofica reale quale dato utile alla costruzione dei protocolli futuri.

Test per le Fibre Muscolari

Come si esegue il test per le fibre muscolari?

Per cercare di capire “di che pasta siamo fatti” è possibile eseguire un test da carico di lavoro, che può fornirci una traccia utile sulla quale costruire la nostra routine personalizzata.

Questo test – da eseguire su soggetti non neofiti – consiste nel realizzare, mediante un esercizio monoarticolare e all’80% 1RM, il maggior numero possibile di ripetizioni fino al cedimento concentrico.

Il calcolo di 1RM si può ottenere con metodi diretti (più accurato) o indiretti, ad esempio seguendo l’equazione di Bryzicki: 1RM = Carico sollevato / 1,0278-(0,0278* numero di ripetizioni max)

Notatale equazione rispecchia più la realtà quanto più il numero delle ripetizioni massime sarà basso, quindi diciamo intorno alle 4-6 ripetizioni, e che il carico sollevato deve comprendere i bilancieri o altri eventuali supporti come i fermi ai lati.

Per il pre-test dell’1RM le indicazioni generali sono poche: eseguire un buon riscaldamento, un adeguato avvicinamento al carico e ripetere il test almeno 2 volte prendendo per buono il valore più alto e recuperare almeno 2 minuti e non più di 4-5.

Dall’1RM (eventualmente ottenuto con Bryzicki) ricaveremo l’80% da usare nel test, al termine del quale si annoteranno le massime ripetizioni effettuate all’incapacità positiva. Sarà indispensabile l’assistenza di uno spotter, che d’altro canto non faciliterà in alcun modo le rep – se non all’incapacità totale, e in tal caso la rep non conta.

Risultati del test e fibre muscolari

  • Con 5-8 rep e stanchezza entro 10-15″, possiamo ipotizzare che in quel distretto muscolare si abbia una buona densità di fibre IIx (veloci).
  • Con oltre 20 rep e stanchezza che supera i 50-60″, possiamo ipotizzare che in quel distretto muscolare si abbia una buona densità di fibre I (lente).
  • Con 10-15 rep e stanchezza intorno ai 20-30″, possiamo ipotizzare che in quel distretto muscolare si abbia un discreto equilibrio tra i due tipi di fibre.

Da questo test si può estrapolare il carico di lavoro ottimale per ogni muscolo, in termini di percentuale sulla 1RM, con adeguati TUT, densità e volume di allenamento.

È quindi logico che se i risultati indicano un’elevata componente di fibre rosse, la tabella di allenamento richiederà “ipoteticamente” percentuali d’intensità inferiori rispetto alle bianche, una maggior densità (quindi minori recuperi) e maggior volume di allenamento.

 

Come Gestire i Parametri Allenanti

Il carico allenante è dato da volume + intensità + densità. Aumentando uno di questi, si deve diminuire uno degli altri due o entrambi.

I parametri allenanti correlati ad essi sono: numero di allenamenti settimanali, ripetizioni, serie, TUT, grado di affaticamento (nel buffer) e non solo.

L’importanza dell’intensità

Saremo concisi. L’intensità è un altro parametro fondamentale alla crescita ipertrofica, in quanto permette il massimo reclutamento di fibre veloci, la produzione di messaggeri intracellulari che inducono la crescita e – nel contesto di un affaticamento globale adeguato – anche la liberazione di testosterone.

Nell’allenamento per l’ipertrofia l’intensità dev’essere prevalente o comunque considerevole, anche nei soggetti con alte percentuali di fibre rosse.

Si definisce alta intensità quella compresa tra l’85 e il 100% della 1RM.

Quanto volume e quale densità allenante scegliere?

La scelta del grado di volume e densità non dipende solo dalla composizione in fibre muscolari, ma anche dall’attitudine soggettiva alla fatica – chi è portato a raggiungere il cedimento muscolare e chi invece lavora meglio a buffer – e dal carico di lavoro complessivo.

Il volume è essenziale all’insorgenza di stimoli biochimici come la produzione di acido lattico, la deplezione dei fosfageni ecc.

Nel lavoro di forza pura (fibre veloci), il volume dei singoli allenamenti è solitamente contenuto, perché l’esaurimento dei fosfageni impone di ridurre l’intensità. Viceversa, caratterizza gli workout di resistenza alla forza, che sfruttano il connubio tra fibre intermedie (produzione di acido lattico) e fibre ossidative (fibre lente).

La densità invece, che corrisponde alla vicinanza degli stimoli e quindi alla brevità dei recuperi, permette di “concentrare” le sessioni – facendole durare meno – e di lavorare in “pre-affaticamento”. Nel pratico, è inversamente proporzionale ai recuperi tra le serie.

Nel lavoro di forza pura, la densità è bassissima. Nel lavoro di resistenza alla forza, la densità è “solitamente” alta. La densità è quindi un parametro più importante nell’allenamento delle fibre lente rispetto a quelle veloci.

Ma come possiamo capire quanto volume e che livello di densità adottare? È presto detto.

Anzitutto dev’essere chiaro se lavorare a cedimento o a buffer. Suggeriamo di consultare l’articolo dedicato.

Per approfondire: Allenarsi a Buffer: Perché ed EfficaciaBisogna poi scegliere l’intensità, in base al risultato del test sulle fibre e all’obbiettivo dell’allenamento – stimolare quelle rosse o quelle chiare.

Il volume di lavoro per un soggetto che lavora a cedimento corrisponde al numero di set che possono essere completate rispettando – con poco margine di scarto, diciamo +/-2 – il numero di rep della prima, mantenendo i giusti tempi sotto tensione (vedi sotto).

Per la densità il discorso è analogo. Dando per buono un tetto di recupero massimo pari a 3’00” e uno minimo di 45″, e consapevoli del fatto che le fibre rosse impiegano meno tempo per recuperare rispetto alle chiare, si dovranno stabilire delle pause necessarie a garantire il completamento del volume allenante.

Perché è fondamentale considerare i TUT oltre alle rep?

TUT (tempo sotto tensione), rep (ripetizione) e set (serie) sono parametri allenanti; aumentandoli o diminuendoli, si interviene prevalentemente sul volume.

Per rep si intende il compimento del ciclo intero di un movimento. Per set, l’insieme consecutiva di più rep, eventualmente separata da altre set o esercizi dal recupero passivo. Il TUT invece, è il tempo che si impiega nell’esecuzione di una set o di una rep o dell’intero allenamento; corrisponde al “lavoro effettivo”.

In pratica:

  • se una rep avesse un TUT di 3” e la set prevedesse 10 colpi, il TUT della set sarebbe di 30”; se si praticassero 3 set per 3 esercizi, il TUT complessivo corrisponderebbe a 30*3*3=180” (3 minuti);
  • ma è anche vero che se il TUT della rep crescesse a 6”, il complessivo ammonterebbe a 60*3*3=360” (6 minuti).

Aumentare i TUT significa implementare il costo energetico e – nel contesto del resistance training – la concentrazione di acido lattico. Ma è sempre corretto? Qual è il limite?

Rapportare intensità e tempi sotto tensione

Nell’allenamento del bodybuilding è importante mantenere TUT considerevoli e prevalentemente distribuiti sulla fase eccentrica; questo perché l’aumento della sezione muscolare viene stimolata molto dal lavoro in negativo o in isometria.

Ma allora, perché contare le rep se è il TUT a valutare il “lavoro effettivo”?

Perché le ripetizioni sono il frutto del rapporto tra TUT (tempo / volume) e %1RM (intensità).

Tuttavia, con TUT eccessivamente alti è impossibile mantenere %1RM di un certo livello! Pertanto, mantenendo le rep costanti, aumentando i TUT è inevitabile dover ridurre l’intensità.

Non è un caso che uno tra gli errori più comuni, aumentando i sovraccarichi ma in un protocollo a medio o alto volume, sia quello di abbattere drasticamente i TUT per mantenere costanti le rep.

Rimane quindi da capire perché o quanto aumentare uno e diminuire l’altro o viceversa.

Si possono considerare rep a TUT “idonei” (fase concentrica + fase eccentrica) quelli compresi tra 4-6″ (inserendo una pausa isometrica, anche 7-8”). Questo perché consentono di gestire comunque alte intensità e una buona qualità di lavoro, anche data dalla pulizia ed ampiezza del movimento (ROM) e dal rapporto tra fase concentrica ed eccentrica.

Ovviamente, un esercizio monoarticolare come il curl con manubrio per il bicipite e uno squat con bilanciere non possono avere un TUT identico, perché il numero di articolazioni coinvolte e i ROM sono estremamente differenti.

Sono di conseguenza considerate set a TUT elevati oltre ai 60-80″ (circa 12-15 rep), medi intorno ai 45” (circa 8-9 rep) e bassi con meno di 20-30” (5-6 rep).

Nella Pratica

Come costruire un allenamento personalizzato una volta eseguiti i test?

L’allenamento dev’essere adeguato alle necessità personali e alle attitudini

Fare un esempio di routine d’allenamento sarebbe non solo inutile, ma anche fuorviante, in quanto prescinderebbe dal concetto essenziale di ciclizzazione dello stimolo.

Come potrebbe concepire un allenamento senza tener conto della situazione corrente e della fase annuale? Impossibile, ma potremmo comunque dare alcuni consigli utili.

Diamo per scontato di lavorare su un organismo già condizionato e con un minimo di esperienza; diciamo 3 anni di allenamento.

La prima domanda da porsi è: “Quanto tempo posso dedicare all’allenamento?”. Esatto, è impensabile stendere un allenamento che implichi 5 routine se, a conti fatti, la persona non può dedicare più di 3 giorni alla settimana per questo obbiettivo.

Un’ovvietà? Assolutamente no, poiché la ripartizione delle sessioni è anch’essa un parametro allenante. Questo vale soprattutto nei lavori ad altissima intensità, nella forza pura, che affaticano significativamente anche il SNC; ma anche nei lavori ad alto volume – rari nel bodybuilding – che richiederebbero di ripartire le due sessioni mancanti nelle altre 3, facendole durare troppo.

Detto questo, diventa necessario stabilire se lavorare a cedimento (di qualunque genere) o a buffer. Non per stare “dalla parte dei bottoni”, ma oggi come oggi si consiglia di trovare soluzioni promiscue o comunque di alternare i due.

Lavorare sempre a cedimento è infatti controproducente, in quanto stressa troppo sia il cervello che le strutture meccaniche; inoltre, implica spesso fasi di plateau e addirittura di peggioramento. Ha anche maggiori rischi di infortunio.

Viceversa, a buffer mancano lo stimolo d’esaurimento e talvolta quello di massima tensione muscolari; per alcuni, questi due sono indispensabili alla crescita.

Il buffer prevede semplicemente di mantenere una “riserva di rep”; quindi, se con un determinato sovraccarico potrei eseguire 8 rep, a buffer 2 ne eseguirò 6. Chiarito questo, il calcolo degli altri parametri allenanti è il medesimo.

Come gestire gli esercizi multiarticolari?

Ipotizzando di aver ottenuto valori netti per ogni muscolo; finché scegliamo di stimolarli con esercizi monoarticolari, nessun problema. Possiamo creare tabelle con differenze abissali tra un muscolo e l’altro.

Ma come gestire gli esercizi multiarticolari?

Prendiamo il solito squat. Coinvolge ¾ dell’organismo, con maggior enfasi su quadricipiti femorali e grande gluteo, seguiti dal gruppo degli ischiocrurali. Tuttavia, i test ci hanno fornito dati diversi tra i vari; ad esempio: alta percentuale di fibre chiare per il grande gluteo e per i quadricipiti, e viceversa alta percentuale di fibre rosse per il bicipite femorale.

In questo caso, come gestire lo squat? Bisognerebbe dare la priorità ai muscoli maggiormente reclutati, ovvero il quadricipite nei primi 90° del movimento e grande gluteo nei secondi 90°. Il bicipite femorale ha un ruolo importante di stabilizzazione, assieme agli adduttori ed abduttori.

Una buona soluzione potrebbe essere eseguire solo un mezzo squat con alte rep (15-20), media intensità (65-70%), TUT per set di 60-80″ e recuperi bassi (45-75″), e dedicare ai glutei un esercizio (ad esempio lo stacco da terra a gambe tese) a basse rep (6-7), alta intensità (almeno 85%), TUT per set di 20-30″ e recuperi alti (150-180″).

Un’altra alternativa potrebbe essere eseguire lo squat completo ma a parametri allenanti variabili tra le set; dopo un adeguato avvicinamento al carico, partire da alte intensità, poche rep e ampi recuperi, terminando con medie intensità, più rep e bassi recuperi.

Questo sistema tuttavia, si applica molto in caso di ricerca di cedimento muscolare, che richiede un solo allenamento per gruppo muscolare a settimana.

In caso di allenamento a split, si può dividere lo stimolo ad alta intensità nel primo allenamento e quello a media intensità nel secondo. In tal caso, ricordiamoci di non esaurire completamente il distretto, o alla successiva sessione di forza non saremo in grado di rendere il dovuto.

Conclusioni

In conclusione, l’allenamento personalizzato deve necessariamente tenere conto delle richieste soggettive, del grado di allenamento, della possibilità o meno di avvalersi di uno spotter e, solo infine, delle caratteristiche fisiologiche soggettive.

Questo perché i primi sono presupposti essenziali, mentre la composizione in fibre è un dettaglio tecnico, peraltro non troppo facile da sfruttare nella strutturazione di un protocollo.

Per chi non avesse questa possibilità, rimane valido il consiglio di provare tabelle diverse, con parametri allenanti anche sensibilmente mutevoli.

Solo nell’applicativo avremo la reale possibilità di constatare l’impatto di un sistema; tutto il resto è pura teoria.

Fonte: MyPersonaTrainer

04 Mag

Cos’è

Full body workout significa “allenamento per tutto il corpo”; si tratta di un metodo di condizionamento muscolare – generalmente applicato allo stimolo della forza pura, dell’ipertrofia (massa muscolare) e della resistenza di breve durata (produzione e tolleranza all’acido lattico) – che prevede lo stimolo di tutto il sistema muscolare ad ogni singola sessione.

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Anche detto “total body training”, questo sistema è l’esatto opposto dello split workout o split training, cioè la suddivisione dei gruppi muscolari in due o più sedute nello stesso microciclo – generalmente settimanale, ma anche più breve o più lungo.

Il full body workout è da associare al concetto di multifrequenza, ovvero la ripetizione dello stimolo allenante nel microciclo. Questo perché, se finalizzato a sé stesso, quindi non complementare o propedeutico ad altre discipline, il total body training non si presta alla monofrequenza.

Nota: seppur raramente, alcuni sportivi riescono ad associare lo split workout al concetto di multifrequenza; questo può essere possibile adottando vari accorgimenti come: allungamento del periodo di microciclo, allenandosi anche il fine settimana, riducendo il numero di split, allenandosi quotidianamente, eliminando i giorni di recupero totale ecc.

Il vantaggio principale del full body workout è quello di “allenare” maggiormente rispetto allo “splittaggio”, dal punto di vista nervoso centrale e neuro-muscolare. Lo svantaggio invece, è quello di richiedere alti tempi di svolgimento, talvolta difficilmente sostenibili, soprattutto nei protocolli di ipertrofia.

In questo articolo cercheremo di capire meglio come si sviluppa il full body workout e la sua potenziale efficacia, proponendo alcuni esempi di pianificazione e programmazione, nonché una “tipica” scheda di allenamento.

Efficacia

L’efficacia del full body workout è relativa; dipende infatti da molti fattori.

Full body workout: sì o no? Perché?

Gli elementi che determinano la pertinenza di un full body workout sono diversi; di seguito i principali:

  1. Obbiettivo: forza, ipertrofia, resistenza breve
  2. Livello di preparazione: principiante, intermedio e avanzato
  3. Intensità, densità e volume di lavoro intra-workout: allenarsi ad esaurimento o a buffer
  4. Intensità, densità e volume di lavoro del microciclo
  5. Capacità di raggiungere l’esaurimento: data dalla soggettività, sia organica (composizione muscolare), sia motivazionale
  6. Capacità di recupero: soggettiva ma anche legata all’età, alle attività extra-workout (come lavoro e hobby), alla dieta ad eventuale integrazione alimentare, al sonno ecc.

Full body workout e obbiettivo

Se l’obbiettivo del full body workout è l’aumento della forza pura, può essere considerato un ottimo sistema per ridurre il numero delle sedute e ripetere il numero degli stimoli nel microciclo. Questo perché per sollecitare questa capacità non è indispensabile eseguire lunghe routine raggiungendo l’esaurimento muscolare. Ne consegue che gli allenamenti si concludano in breve tempo e il recupero possa avvenire rapidamente, favorendo la multifrequenza e il margine di miglioramento.

All’opposto, se l’obbiettivo è l’ipertrofia, la faccenda si complica. Per aumentare le masse muscolari è sempre necessario imporre uno stress abbastanza intenso (meccanico e chimico-ormonale), allenandosi a cedimento o quasi, con alto volume, densità e TUT (time under tension). Ciò richiede molto più tempo per stressare ogni singolo gruppo muscolare, facendo diventare gli allenamenti interminabili, oltre che difficilmente sostenibili per l’affaticamento metabolico. Anche volendo, difficilmente sarà possibile applicare la multifrequenza ad un full body workout per l’ipertrofia pura.

Bisogna invece apprezzare l’applicabilità del full body workout per lo stimolo della resistenza di breve durata, in particolare della resistenza alla forza (pochi minuti). È piuttosto diffuso, soprattutto nella preparazione generale ad altri sport, organizzare questi allenamenti in circuit training, ripetendoli anche molte volte nel microciclo.

Full body workout e livello di preparazione

Il vantaggio principale del full body workout è quello di stimolare efficacemente l’apprendimento tecnico, sotto l’aspetto dell’equilibrio, della coordinazione degli schemi motori, dell’attivazione e sincronizzazione neuromuscolare ecc. Ecco perché è consigliato nell’allenamento dei principianti.

Può essere usato con efficacia anche in certi periodi dell’anno per chi si trova ad un livello medio, purché si abbia l’attenzione di modificarlo costantemente in base alle esigenze (allungando, ad esempio, la durata dei microcicli).

Al contrario, un body builder esperto difficilmente riuscirà ad utilizzare il full body workout nella ricerca di ipertrofia; per questa categoria, è invece un’ottima soluzione nei periodi transitori, tra la fine della fase di cutting e il mantenimento nel periodo di rigenerazione (ad esempio durante le vacanze).

Full body workout e intensità, densità e volume di lavoro

La pertinenza del full body workout dipende molto da questi tre elementi, sia all’interno del singolo allenamento, che del microciclo. Allenare tutto il corpo sottopone la mente, i muscoli e gli organi ad un carico di lavoro piuttosto elevato. Gestendo il carico generale si possono trovare varie soluzioni, purché non si perdano di vista i meccanismi che stanno alla base del nostro obbiettivo.

È vero che con tale sistema è possibile completare lo stimolo di tutto l’apparato muscolare in una singola sessione, e che in tal modo è anche possibile aumentare gli stimoli nel microciclo. Tuttavia è necessario mantenere un’intensità sufficiente, intesa sia come livello di tensione muscolare, che come esaurimento dei gruppi fosfati, produzione di acido lattico ecc.

Full body workout e capacità soggettiva di raggiungere l’esaurimento

Non tutti, per ragioni organiche o psicologiche, sono capaci di raggiungere intensità tali da esaurirsi totalmente al termine di ogni allenamento. Non parliamo di fatica, ma di esaurimento. Si è esauriti in un determinato distretto quanto non è quasi possibile eseguire i normali gesti della vita quotidiana – almeno, per i primi momenti dopo l’allenamento.

Soprattutto ai più “duri” potrà sembrare difficile da credere ma, usando il full body workout, è molto più difficile raggiungere l’esaurimento. Questo perché la fatica metabolica generale diventa tale da rendere quasi impossibile spingersi a certi livelli per tutti i gruppi muscolari. Ciò diventa un limite vero e proprio, sia per il livello dello stimolo che si vorrebbe raggiungere, sia per la capacità psicologica di portare avanti l’eventuale tabella di allenamento per 8-10 settimane.

Full body workout e capacità soggettiva di recupero

Come anticipato, dipende dall’età, dalla dieta, dall’integrazione e dal proprio personale organismo. Non siamo tutti uguali. Anche in riferimento a quanto detto nei due paragrafi sovrastanti, non dimentichiamo che nel perseguire l’obbiettivo di ipertrofia può non essere facile recuperare tra due full body workout a breve distanza uno dall’altro. Se il recupero è incompleto, non avviene la supercompensazione. Poi, è lecito ipotizzare che aumentando gli stimoli l’organismo reagisca velocizzando questo processo, ma a tal proposito sarebbe meglio inserire brevi periodi di sovra-stimolazione, in modo da ridurre anche il rischio di “fare danni”, o comunque di non progredire.

È bene ricordarsi che allenandosi oltre il normale, anche le necessità nutrizionali diventano eccezionali. Non parliamo di quantità, ma di qualità. Non è l’obbiettivo di questo articolo entrare nel merito di quante proteine, carboidrati, vitamine e minerali abbia bisogno un culturista. Sicuramente non più di un qualsiasi atleta di forza, ma è bene che almeno quelli siano ben presenti nella dieta. Solo dove non arrivano gli alimenti, è consigliabile integrare.

 

Vantaggi e Svantaggi

L’utilizzo del metodo full body workout presenta diversi vantaggi rispetto all’attualmente più diffuso split.

Quali sono i vantaggi del full body workout rispetto allo split?

I vantaggi del full body workout rispetto al sistema dello split sono:

  • A parità di stimolo, consente di eseguire meno allenamenti settimanali; questo permette anche di far lavorare le articolazioni una volta sola, anche se per più tempo nella stessa sessione
  • A parità di microciclo, permette di eseguire più stimoli; ciò, come abbiamo visto, è molto utile per lo stimolo di apprendimento e per lo sviluppo della forza
  • Evita di saltare lo stimolo per un determinato gruppo muscolare all’interno del microciclo se, per varie ragioni, si è impossibilitati ad allenarsi
  • Si presta particolarmente a discipline oggi parecchio in voga come: callisthenics, crossfit, functional ecc.

Quali sono gli svantaggi del full body workout rispetto allo split?

Gli svantaggi del full body workout, facilmente estrapolabili anche da quanto espresso sopra, sono in realtà pochi ma importanti:

  • Scarsa pertinenza nella ricerca di ipertrofia ad alti livelli
  • Con alti carichi di lavoro, difficile sostenibilità nel lungo periodo
  • Maggior possibilità statistica di infortunio; ad ogni allenamento bisogna aver cura di riscaldare bene e attivare tutte le articolazioni, i tendini e i muscoli.

Scheda di Allenamento

Dopo aver ampiamente discusso sulle applicazioni, sull’efficacia e sui vantaggi del full body workout, proponiamo tre esempi di scheda di allenamento rapidi e abbastanza semplici.

Nota: è essenziale un riscaldamento appropriato per ogni gruppo muscolare, costituito da almeno 6 ripetizioni (rep) x 2 serie (set) con peso di circa il 60% rispetto al massimale (1 rep max).

Esempio di scheda di allenamento full body workout A, B, C per l’ipertrofia

Esercizio Set Rep Rec
Allenamento A
Bench press machine 3 8-10 1’30”
Croci manubri panca piana 3 10-12 1’30”
French press 3 10-12 1’30”
Alzate frontali cavi 3 10-12 1’00”
Lat machine presa prona 3 10-12 1’30”
Pulley basso 3 8-10 1’30”
Curl panca inclinata 3 10-12 1’30”
Rowing machine 3 10-12 1’00”
Alzate laterali manubri 3 10-12 1’00”
Pressa 45° 3 8-10 2’00”
Hack squat 3 8-10 1’30”
Calf press 3 12-15 1’00”
Crunch 3 15-20 1’00”
Iperestensioni del busto 3 15-20 1’00”
Allenamento B
Panca inclinata manubri 3 8-10 1’30”
Pecrtoral machine 3 10-12 1’30”
Push down cavo 3 10-12 1’30”
Rematore bilanciere presa prona 3 8-10 1’30”
Lat machine presa supina 3 10-12 1’30”
Curl panca scott 3 10-12 1’30”
Croci 90° cavi 3 10-12 1’00”
Tirate al mento bilanciere EZ 3 10-12 1’00”
Squat 3 8-10 2’00”
Affondi alternati manubri 3 8-10 1’30”
Calf machine seduto 3 12-15 1’00”
Flessioni laterali busto 3 8-10 1’00”
Iperestensioni del busto 3 10-12 1’00”
Allenamento C
Dip parallele 3 10-12 130”
Croci basse cavi 3 8-10 1’30”
Estensioni corda sopra la testa 3 10-12 1’30”
Pull-up presa prona + presa supina 3 8-10 1’30”
Rematore presa supina 3 12-15 1’30”
Rowing gomiti alti 3 15-20 1’00”
Curl manubri alternato 3 10-12 1’30”
Alzate laterali cavi 3 10-12 1’00”
Stacchi da terra 3 8-10 2’00”
Leg extension + leg curl super set 3 10-12 1’30”
Calf in piedi monopodalico 3 12-15 1’00”
Reverse crunch 3 15-20 1’00”
Iperestensioni del busto 3 10-12 1’00”

Nota: è opportuno approcciarsi a questo allenamento con cautela, soprattutto partendo da un livello basso.

Fonte: MyPersonalTrainer

25 Apr

Quali sono gli esercizi fondamentali?

Classificazione

La più importante classificazione usata per gli esercizi di resistance training con i pesi (sovraccarichi) è in base al numero di articolazioni coinvolte:

  • Multiarticolari: più articolazioni;
  • Monoarticolari: una sola articolazione.

Anche se, a dirla tutta, è talvolta difficile stabilire quanto le articolazioni possano essere esluse, anche solo in termini di “stabilizzazione”.

Più difficile e meno netta invece, è la classificazione in base all’utilià nello sviluppo di forza e ipertrofia o massa muscolare (sezione trasversa). Ciò ne dovrebbe, di conseguenza, stabilire una certa “priorità” nella stesura del protocollo di allenamento.

Tale distinzione prevede una “più o meno netta” – poi spiegheremo perché – separazione tra:

  • Esercizi fondamentali (multiarticolari pesanti con schemi motori di base, “prevalentemente” con bilanciere, e più indicati per lo sviluppo di forza pura): squat con bilanciere, deadhlift (stacco da terra), distensioni in panca piana con bilanciere (barbell bench rpess), trazioni alla sbarra con o senza sovraccarico;
    • Varianti degli esercizi fondamentali: stacco e squat in stile sumo, squat/affondo bulgaro, front-squat, stacco e squat frammentati, tutte le bench-press con manubri, trazioni frammentate nel movimento, applicazione di carico variabile (con elastici o catene) ecc.;
  • Esercizi complementari (multiarticolari, con pesi liberi, cavi o macchine isotoniche, indicati per variare l’angolo di lavoro o enfatizzare lo stimolo di un distretto piuttosto che un altro): affondi, leg press, hack squat machine, hip-thrust, distensioni in panca inclinata, distensioni in panca declinata, bench press machine/multipower o analoghe, dip, rematore con bilanciere/manubri/T-bar, pulley machine, trazioni alla lat-machine, low-row machine o analoghe, shoulder-press machine o analoghe, tirate al petto;

Attenzione! Non tutti concordano su questa ripartizione. Soprattutto i bodybuilder, tendono a far rientrare tra i fondamentali anche dip, military-press e rematore. Non si tratta di un errore, bensì di un punto di vista. Nel culturismo, l’obbiettivo principale è lo sviluppo muscolare. Nelle discipline di forza invece, l’obbiettivo principale è l’efficacia del “lift”. Come naturale conseguenza, visto che, ad esempio nel powerlifting, i gesti gara sono 3 (squat, stacco, panca), gli esercizi fondamentali saranno gli stessi con la sola aggiunta di alcune tirate (prevalentemente trazioni).

  • Esercizi di isolamento (monoartiolari, con pesi liberi, cavi o macchine isotoniche, indicati per focalizzare il reclutamento di particolari muscoli; sono molto numerosi): leg-extensiuon, leg-curl, adduzioni e abduzioni alla macchina o al cavo per adduttori e abduttori, gluteus-machine o analoghi, calf-machine, addominal-machine, flessioni laterali del busto su panca specifica, iperestensioni lombari, croci con manubri/ai cavi, pectoral-machine, pull-over, pull-down cavo, push-down cavo, french-press bilanciere/manubri/cavo, curl con manubri/bilanciere/cavo, alzate laterali manubri/cavo, alzate frontali manubri/cavo, croci a 90° manubri/cavo ecc ecc.

A cosa servono

Perché gli esercizi fondamentali sono importanti?

Gli esercizi multi-articolari fondamentali coinvolgono diversi distretti muscolari, richiedono una coordinazione e una tecnica di esecuzione molto fini, che dovrà essere scrupolosamente appresa dallo sportivo e verificata poi dall’istruttore.

Lo stacco e lo squat, in particolare,  stimolando  l’effetto metabolico attraverso una grande risposta ormonale,  permettono  la crescita complessiva.

Per contro, non tutti sono – da subito – in grado di svolgere correttamente questi esercizi. Questo perché è indispensabile possedere la giusta mobilità articolare e flessibilità muscolare.

Necessitano sempre di una valutazione iniziale e, spesso, di un periodo iniziale di condizionamento, nel quale curare tutti questi aspetti.

Spesso si commette l’errore di credere che questi esercizi siano adatti ai soggetti avanzati. Non solo non è così, ma è esattamente l’opposto.

Il primo obbiettivo di un neofita è guadagnare il condizionamento essenziale ad erogare forza in questi gesti – che “dovrebbero” essere quelli più “fisiologici”.

Per tali soggetti vi è la necessità di costruire le “fondamenta”, cioè di buttare giù le basi su cui programmare successivamente un allenamento, eventualmente più “dettagliato”.

E’ quindi consigliabile inserire nelle “primissime” schede  tutti gli esercizi fondamentali e, dopo aver raggiunto una struttura fisica “adeguata”, proporre gli esercizi complementari ed infine quelli di isolamento.

Ciò  è valido sia per l’universo femminile quanto per quello maschile e, in tal senso, non può esserci nessuna forma di discriminazione ai fini della metodologia di allenamento.

Sarebbe pertanto improponibile, per una ragazza il cui obbiettivo è quello di rimodellarsi, costruire un programma evitando di inserire, in particolare, squat e stacchi – purtroppo, ancora spesso rimpiazzati da slanci e macchine senza alcuna ragione medica o funzionale.

Gli esercizi fondamentali sono “realmente” fondamentali?

Dipende. Panca, stacco e squat sono imprescindibili per un powerlifter, così come strappo (snatch) e slancio (clean e jerk) lo sono nel weightlifting.

Per un bodybuilder, soprattutto amatoriale, non è la stessa cosa.

Se da un lato sappiamo che questi esercizi hanno un elevato potere anabolico complessivo e unefficacia senza pari nella crescita di forza, dall’altro sappiamo anche che gli stessi possono essere rimpiazzati da movimenti facilitati, frammentati e parzialmente differenti.

E’ quindi possibile crescere muscolarmente anche senza eseguire gli esercizi fondamentali.

Un culturista che non può squattare ma è in grado di eseguire una press alla macchina, può allenarsi tranquillamente. Lo stesso dicasi per lo stacco da terra, che può venore rimpiazzato da un pool di esercizi utili (hip-thrust, leg-curl ecc.), e per la panca piana (bench-press-machine, pectoral-machine, peck-deck, croci con manubri ecc).

 

Squat

Lo squat è un esercizio di “accosciata” con sovraccarico.

Quello tradizionale è con bilanciere appoggiato sulle spalle (back-squat), tra la parte alta delle scapole e i deltoidi posteriori.

Le gambe sono divaricate “poco oltre” la larghezza delle spalle – ma questo dettaglio può cambiare in base alle caratteristiche del soggetto. I piedi sono ruotati all’esterno di circa 30°.

Inspirando e compattando il core, con le scapole addotte e depresse, il rachide ben sostenuto (soprattutto a livello lombare) e il bacino leggermente anteroruotato, si inizia a scendere flettendo le cosce e le gambe.

La discesa, nelle persone con caviglia e coxo-femorale normalmente mobili, termina oltre il parallelo (squat profondo, col il sedere che oltrepassa la linea del ginocchio). Per gli altri, può interrompersi prima.

Fino ad un angolo di 90° viene coinvolto maggiormente il quadricipite; oltre, molto il grande gluteo. Adduttori, abduttori e flessori della gamba hanno un’importante funzione di stabilizzazione.

Dalla “buca” parte poi la spinta, che deve ripercorrere la stessa traiettoria.

Gli errori da non fare sono molti e rimandiamo la lettura all’articolo dedicato.

Deadlift – Stacco da terra

Il deadhlift o stacco da terra consiste nel movimento più efficiente nel sollevare un sovraccarico (bilanciere) posizionato a terra.

Con divaricatura delle gambe variabile (larghezza spalle o più aperta) – a seconda che si vogliano impegnare maggiormente la schiena, i glutei o le cosce – e piedi leggermente ruotati all’esterno (di più se le gambe sono divaricate), si impungna saldamente il bilanciere – laghezza spalle se le gambe sono divaricate, o più aperta se invece sono a larghezza spalle – e ci si prepara al sollevamento.

Il bilanciere sfiora le tibie. Dopo una profonda inspirazione e tenuta di core, si adducono e deprimono le scapole, si abbassa il sedere, si tiene il bacino leggermente antero-ruotato e si garantisce un’elevato sostegno muscolare di tutta la schiena.

Può quindi partire il lift, spingendo centralmente sulla pianta del piene e salendo uniformemente con il bacino e con la schiena.

Rispetto allo squat, recluta maggiormente il grande gluteo e il gran dorsale, meno il quadricipite femorale. Grandi differenze si possono apprezzare in base alla tecnica di sollevamento prediletta e alle caratteristiche anatomo-funzionali.

Anche in questo caso, per maggiori dettaglio è consigliabile leggere l’articolo dedicato.

 

Distensioni in panca piana con bilanciere – barbell bench press

E’ un esercizio di spinta che vede coinvolti soprattutto il gran pettorale, il tricipite brachiale e il deltoide anteriore.

Sdraiati su una panca piana, si impugna il bilanciere con larghezza superiore alle spalle, ma non oltre gli 81 cm.

La distensione inizia dopo aver assunto la corretta postura: scapole addotte e depresse, possibilmente arco dorsale (ma, piuttosto che eseguire una “inutile” curvatura solo lombare, meglio evitaro), core ben stabilizzato da una profonda inspirazione.

Si stacca il bilanciere dai supporti e si inizia la discesa. La traiettoria è verso il basso ma non totalmente verticale. Per sfruttare appieno l’azione del gran pettorale ed evitare criticità articolari per la spalla, l’omero deve rimanere più in basso rispetto alle clavicole (a metà via tra il trorace e il parallelo, per intenderci).

Questo permette che il bilanciere vada anche “in avanti” durante la discesa e la risalita, disegneando una traiettoria simile ad una “parentesi tonda”.

La profondità utile è quella massima, ovvero a “toccare lo sterno basso”.

Trazioni alla sbarra – pull-up

Le trazioni alla sbarra sono esercizi di “tirata”.

Molti si chiederanno per quale ragione esse, che permettono di sviluppare meno forza rispetto ai rematori, vengano considerate più “importanti” di questi ultimi.

La risposta è semplice: le trazioni alla sbarra sono l’esercizio col focus maggiore sul gran dorsale, mentre i rematori coinvolgono di più il gran rotondo.

La posizione di partenza è sotto la sbarra; se siamo in grado di svolgere almeno 12 rep a corpo libero, è ora di inserire un sovraccarico – con schienalino o cintura zavorrata.

L’imputnatura più adeguata per lo stimolo del gran dorsale è quella prona (palmi avanti), con gli indici all’altezza del deltoide.

Le scapole assumono un’importanza cruciale. Devono essere be addotte e ben depresse, in modo da esercitare la miglior leva muscolare possibile. Anche in questo caso, il core va tenuto compatto con una respirazione profonda.

Specifichiamo che la trazione dev’essere percepita più sul dorsale che sulle braccia. per fare ciò, è necessario “immaginare di portare la barra sotto il mento”, non di sollevare il corpo. E’ anche importante lasciare che la schiena si inarchi spontaneamente. Inoltre, anche in questo caso la traiettoria non è verticale, ma curva (in tirata, verso su e verso dietro, poi verso avanti avvicinando la barra al petto; viceversa la discesa).

Rimandiamo le specifiche all’articolo dedicato e ci limitiamo a ricordare che gli errori più comuni sono i cheat eseguiti nei momenti articolari di minor forza o di maggior fatica.

 

I fondamentali sono esercizi migliori degli altri?

In senso stretto, possiamo far rientrare tra i fondamentali: squat e stacco da terra per gli arti inferiori, distensioni su panca piana con bilanciere per il petto, trazioni (o il rematore pesante con bilanciere?) per la schiena.

Si tratta quindi di 4-5 esercizi in tutto. Se però considerando le molte varianti associate (uso dei manubri, impugnature, inclinazioni e impostazione differenti, ecc.) potremmo facilmente arrivare al triplo.

Per il bodybuilder (e per chiunque si alleni a scopo estetico), questo gruppo di esecuzioni presenta una serie di vantaggi e benefici rispetto a tutti gli altri, tra i quali:

  1. maggior predisposizione all’allenamento della forza massimale;
  2. costruzione di schemi motori più complessi e funzionalità;
  3. coinvolgimento di numerosi gruppi muscolari contemporaneamente;
  4. azione sulla stabilità e compattezza del core;
  5. maggior potenziale di affaticamento e conseguente azione anabolica superiore.

Non mancano, però, gli svantaggi e le controindicazioni:

  1. maggior complessità di apprendimento ed esecuzione;
  2. statisticamente parlando, elevata suscettibilità agli infortuni – anche se questo è dovuto soprattutto ad errori commessi dagli atleti, piuttosto che all’esercizio in sé;
  3. inadeguatezza ai protocolli incentrati sul cedimento muscolare e, in genere, alle alte ripetizioni (per molti, opinabile);
  4. se portati ad alti sovraccarichirichiedono un lavoro complementare sulla muscolatura secondariamente coinvolta – addome e stabilizzatori vari;
  5. bassa autonomia, perché inducono rapidamente l’affaticamento centrale e metabolico-muscolare.

Prendendo in considerazione tutto questo, potremmo sostenere che i fondamentali e relative varianti, opportunamente appresi, inseriti nella routine e gestiti nella periodizzazione, siano ottime soluzioni per gli obbiettivi di costruzione della forze e della massa muscolare.

Ma il discorso non finisce qui.

 

Ciò che importa è personalizzare e contestualizzare

Le persone sono tutte diverse tra loro. Nella popolazione generale possiamo dunque osservare differenze anatomiche e antropometriche, e diseguaglianze funzionali, anche di grande importanza.

Per fare degli esempi quasi banali:

  • Nello squat, non tutti mostrano una mobilità di caviglia sufficiente ad affrontare un’accosciata oltre il parallelo;
  • Sempre nello squat, anche la conformazione della coxo-femorale influenza sensibilmente il confort “in buca”;
  • La scelta tra stacco da terra regular e in stile sumo è dato dalla capacità di usare più o meno la schiena (maggiormente coinvolta nel regolare) rispetto alle gambe;
  • La mobilità di spalla e l’integrità dei tendini coinvolti influenzano pesantemente la capacità di adduzione e abduzione, flessione e estensione, intra-rotazione e extra-rotazione. Questo si ripercuote inevitabilmente sulla capacità di eseguire correttamente esercizi come le trazioni, ma anche la panca piana e addirittura il posizionamento del bilanciere sulla schiena nello squat.

Laddove i limiti funzionali possono essere corretti grazie ad opportuna ginnastica di mobilità, rinforzo, flessibilità e riequilibrio muscolo-articolare, i fondamentali prima inadatti possono venire inseriti progressivamente ma con cautela.

Tuttavia, in alcune circostanze – sia innate che acquisite – questo non è assolutamente possibile. Pensiamo a condizioni come la scoliosi, caviglie rigide, ridottissimo spazio sub acromiale con conflitto di spalla e conseguente assottigliamento dei tendini ecc.

In questi casi, i fondamentali dovranno essere sostituiti da altri movimenti meno critici che, paradossalmente, diventeranno essi stessi gli esercizi migliori.

Alcune soluzioni “generiche” – si prenda con le pinze quanto elencato, poiché la scelta deve rispettare la condizione specifica – sono:

  • Per gli arti inferiori: leg press, hip-belt squat, pistol squat, step-up, affondi, bulgarian squat, hack squat ecc.
  • Per il petto: l’uso dei manubri, chest press machine, croci con manubri o ai cavi, pectoral-machine;
  • Per la schiena: cambio di impugnatura e presa nelle trazioni, rematore one-arm manubrio in ginocchio, lat-machine, pulley machine, pull-down machine, vertical traction machine, row machine, low row machine ecc.

In definitiva, è possibile distinguere gli esercizi più adatti, quindi rispettosi della soggettività e dell’obbiettivo, ma non migliori o peggiori in senso assoluto.

Certo, alcuni sport sono incentrati sulla performance di specifiche tipologie di esecuzione; inutile dire che, per tali discipline, la specificità è di primaria importanza.

Se tuttavia parliamo di bodybuilding o di preparazione atletica generale, il discorso cambia radicalmente. Non esistono esercizi realmente insostituibili.

Tirando le somme, gli aspetti più importanti per l’efficacia e la sicurezza dell’allenamento sono:

  1. la personalizzazione del protocollo;
  2. la contestualizzazione degli esercizi, delle tecniche e dei parametri allenanti.

La personalizzazione ha un ruolo cruciale nella programmazione e pianificazione dei cicli allenanti, anche se tale approccio è indirizzato ad un pubblico di sportivi avanzati che potremmo definire “ristretto”.

Questa filosofia può tuttavia essere riportata anche in ambito amatoriale o con obiettivi, per così dire, non elevati come quelli di un atleta sotto il profilo prestativo o venatorio. Ciò che conta però, è che la forma dei protocolli sia “adatta”.

Attenzione però, non significa che obiettivi apparentemente più “banali”, come la ricerca di un maggior benessere globale, siano più facili da raggiungere; acciacchi articolari, sovrappeso e dismetabolismi, in particolare quando coesistenti, rendono la costruzione del protocollo allenante “praticabile” e di successo tutt’altro che scontata.

Troppo spesso però, si propongono esercizi inadeguati o diete impraticabili a persone che non sono in grado – per ragioni fisiche o psicologiche – di portarli a termine, contribuendo al fallimento e alla cronicizzazione del problema.

Alcuni esempi pratici

Nulla più di un esempio ben fatto potrebbe far passare questo concetto. Prendiamo in considerazione lo squat nel contesto allenante di un soggetto sedentario di mezza età.

Quando lo squat è una buona scelta e quando invece no

Lo squat libero (con bilanciere e non al multipower) è per molti il “re degli esercizi”, e certamente l’esecuzione principe per gli arti inferiori e per i glutei; vengono poi coinvolti massicciamente anche la schiena (bassa e profonda) e il core.

D’altro canto, il movimento dello squat richiede caratteristiche fisiche di un certo tipo, come buona mobilità delle caviglie, un bacino libero di ruotare, flessori ed estensori ben flessibili, una schiena dotata di tutte le sue curve fisiologiche e priva di dismorfismi gravi ecc.

Non è detto, sia per ragioni anatomo-funzionali innate, sia per una disfunzionalità acquisita, che il soggetto sedentario di mezza età riesca ad eseguirlo in maniera corretta fin da subito.

A questo punto abbiamo due strade:

  • la prima è, dopo avere eseguito i relativi test funzionali, correggere – dove possibile, ovviamente – il difetto in questione con protocolli di flessibilità, mobilità e potenziamento selettivo; approcciandosi solo in un secondo momento allo squat, magari limitando il ROM (Range of Motion) nel punto critico;
  • la seconda è, nel caso le problematiche non siano risolvibili, di sostituire lo squat con altre esecuzioni che possono comunque sviluppare la forza degli arti inferiori.

Non avrebbe mai senso, quindi, insistere fin da subito sull’esecuzione dello squat essenziale con carichi affaticanti. Il rischio sarebbe ovviamente di aggravare la condizione di salute anziché di migliorarla.

Valutare la flessibilità dei pettorali

Di seguito presentiamo un esempio pratico di come, dopo un test di flessibilità per i muscoli pettorali (grande e piccolo), si debba organizzare un piano di allenamento per il torace prevedendo esercizi che rispettino la meccanica soggettiva.

Il soggetto, dopo essersi sdraiato su una panca orizzontale, deve aprire le braccia (a croce, per intenderci) e lasciare che cadano naturalmente; in condizioni di ottima flessibilità dei muscoli del torace, gli arti superiori dovrebbero andare oltre la linea del corpo, consentendo all’omero di effettuare la massima escursione nell’abduzione sul piano trasversale.

Bisognerà controllare inoltre la flessibilità della spalla sul piano sagittale e frontale, quindi occorreranno altri test.

Ritornando ai pettorali, abbiamo visto che in questo caso il soggetto può eseguire senza problemi esercizi come le distensioni e le croci ecc.

Se invece il soggetto non ha un’elasticità tale da permettere un ROM soddisfacente (come invece nel caso sopra), saranno da evitare o limitare quegli esercizi che portano l’omero troppo indietro rispetto al torace.

Sarebbe opportuno praticare delle croci ai cavi, con ROM limitato, evitando un eventuale compenso a livello vertebrale ed eccessiva compressione intra-scapolare.

Non è assolutamente una buona idea far praticare un esercizio come le distensioni con i manubri, che danno un elevato stiramento ai muscoli in questione, ma piuttosto con il bilanciere, usando dei fermi al rack o uno spessore sul torace come riferimento per lo stop anticipato.

In ogni caso, parallelamente l’obiettivo sarà quello di aumentare la flessibilità dei muscoli pettorali nonché l’intera catena della spalla e del braccio.

Una scarsa flessibilità muscolare compromette la corretta esecuzione di un movimento ad ampia escursione di abduzione dell’omero sul piano traverso e genera notevoli compensi.

In questo caso, prima di intraprendere esercizi di muscolazione per il torace è buona regola dedicare gran parte dell’allenamento al recupero della mobilità articolare della spalla che, se non recuperata almeno in percentuale, può portare scompensi anche a livello dell’articolazione o compromettere l’integrità di altre strutture connesse.

Impostando un programma di allenamento per questo distretto muscolare si deve limitare quasi in ogni esercizio l’escursione di movimento.

Un esercizio che può essere svolto senza pericolo ne compensi a livello dorsale infra-scapolare sono le croci ai cavi, nelle quali i muscoli non vengono eccessivamente stirati e rispettano la biomeccanica del soggetto in questione.

Le trazioni verticali sono un problema per molti

Non tutti possono eseguire pull-up e pull-down con la stessa facilità, a prescindere dalla forza muscolare. Questo perché entrano in gioco il range of movement (ROM) ed eventuali condizioni disagevoli o patologiche delle articolazioni e dei tendini, soprattutto della spalla – ma non solo, spesso sono coinvolti il gomito e i polsi.

Per capire se un soggetto può eseguire la lat machine, devo testare la flessibilità e la possibilità di movimento articolare di quella persona. In definitiva devo valutare il suo ROM specifico.

I test di flessibilità risultano ancora una volta la chiave di lettura per la programmazione di un allenamento proficuo e in sicurezza, o per minimizzare i rischi derivati dagli esercizi.

Se il soggetto in questione non mostra evidenti problemi di scarsa flessibilità a livello della spalla, riuscendo tranquillamente a portare le braccia in estensione senza compensi, potrà praticare in tranquillità la lat machine, considerando solo il tipo di allenamento che si intende praticare con riferimento agli obiettivi di crescita, forza o altre capacità condizionanti.

La rigidità dell’articolazione della spalla è quindi il fermo principale alla pratica in tutta libertà della lat machine.

Le cause di tale rigidità articolare possono essere davvero tante. Una non adeguata flessibilità dei muscoli gran dorsali o romboidi o trapezio, o addirittura di tutti i muscoli che intervengono nel movimento in questione, può compromettere la completa flessione dell’omero sul piano sia frontale che sagittale.

Ciò significa che se il muscolo non è adeguatamente elastico i movimenti di elevazione laterale del braccio fin sopra la testa o dal davanti del copro (adduzione-abduzione sul piano frontale e sagittale), risulteranno limitati o comunque non liberi del tutto.

Questo comporterà che, a causa del carico usato nell’esercizio, le braccia saranno comunque trazionate in alto, nella fase eccentrica del movimento ma per opera del compenso della curva lombare che creerà una iperlordosi di adattamento per permettere l’escursione alla spalla; da precisare che si tratta di una “escursione fasulla” in quanto senza quel compenso a carico della bassa schiena quel movimento non sarebbe mai stato possibile se non limitandolo fino ad un certo punto laddove il grande dorsale avrebbe permesso l’elevazione del braccio.

In quest’ultimo caso, l’ausilio di un fermo che limiti il ROM risulta fondamentale per non gravare sulle vertebre lombari che, atteggiandosi in iperlordosi, soprattutto in condizioni di conclamata precarietà, potrebbero dare origine a dolore.

 

Conclusioni

Negli esempi sopra menzionati abbiamo fatto cenno ai soli pettorali, ma ricordiamoci che un discorso sovrapponibile andrebbe fatto anche per la schiena, le spalle, gli ischiocrurali, i quadricipiti, i flessori dell’anca, la flessibilità del braccio, della cuffia dei rotatori, dell’anca ecc.

Non esiste, a conti fatti, un esercizio migliore di un altro in termini assoluti; ma semplicemente quello più adatto.

Come abbiamo visto negli esempi dello squat e delle distensioni con i manubri infatti, se alle persone con scarsa mobilità o elasticità avessero fatto eseguire gli esercizi senza alcun criterio cautelativo, probabilmente i soggetti sarebbero andati incontro ad infortuni di vario genere.

25 Apr

Premessa

Se sei una persona attiva, che pratica un regolare esercizio fisico e conosce perfettamente i suoi benefici, probabilmente troverai più interessante la lettura del seguente articolo, che spiega nel dettaglio come bruciare più calorie accelerando il metabolismo.

Se invece stai pensando che è giunto il momento di godere a pieno dei vantaggi offerti dall’attività fisica, ma ti manca la decisione, il supporto o la fiducia per cominciare, le righe che seguono potrebbero rappresentare la molla per iniziare a farlo.

Sedentarietà e Calorie

Non vi è alcun dubbio che i progressi tecnologici registrati negli ultimi decenni abbiano profondamente cambiato le abitudini degli Italiani e con esse la quota di calorie bruciate nell’arco delle ventiquattro ore.

L’organizzazione mondiale della sanità definisce lo stile di vita come un “insieme di modelli comportamentali strettamente correlati tra loro, che dipendono dalle condizioni sociali ed economiche, dall’educazione, dall’età e da altri fattori”. Uno stile di vita attivo è uno dei segreti per bruciare più calorie.

Promuovere comportamenti salutari è molto importante anche per abbattere il rischio di molte malattie, che riconoscono nella sedentarietà uno dei principali fattori causali; è dunque fondamentale insistere con la correzione dello stile di vita anche quando il soggetto non può, non vuole o non riesce ad attuare comportamenti positivi per il proprio benessere.

Affinché tali modifiche siano durature nel tempo, ogni operatore della salute dovrebbe sforzarsi di aiutare a comprenderne i benefici (personali e collettivi), ma anche le conseguenze negative legate all’inattività fisica. Oltre a farci bruciare più calorie contribuendo a regolarizzare il peso corporeo, uno stile di vita attivo permette di ottenere notevoli benefici anche quando l’ago della bilancia non ne vuole proprio sapere di spostarsi verso sinistra. Questi vantaggi si collocano anche in un contesto economico (minori spese sanitarie) e in quello psicologico e sociale (maggiore fiducia nelle proprie capacità). Riguardo a quest’ultimo punto è bene sottolineare che molti soggetti sedentari e sovrappreso rifiutano l’attività fisica perché la interpretano come un’impresa, uno sforzo e un sacrifico immane, per molti versi insormontabile.

 

Attività fisica

Rendendo più attivo il tuo stile di vita, puoi bruciare facilmente 1000 calorie extra al giorno

Se a causa dell’eccesso ponderale, del fumo e della sedentarietà, il cuore sembra scoppiare già dopo una rampa di scale è facile che il soggetto si convinca di “non essere proprio tagliato per lo sport”. Nulla di più sbagliato, innanzitutto perché una sana e regolare attività fisica non deve avere alcunché di “prestativo” e in secondo luogo perché un rapido ed apprezzabile miglioramento delle proprie capacità subentra, spontaneamente, già dopo poche settimane. Spesso l’approccio del sedentario con l’attività fisica è a dir poco traumatico, perché inizia con un eccesso di foga ed entusiasmo che puntualmente si infrange contro molteplici scogli (eccessive aspettative che tardano ad arrivare, imbarazzo pubblico ed altri impedimenti di natura fisica e psicologica).

La prima regola è dunque quella di “iniziare lentamente e aumentare gradualmente”, adottando uno stile di vita più attivo anche se privo di attività strutturate. Come illustrato nella seguente tabella, è tutto sommato facile inserire un po’ di tempo da dedicare all’attività fisica spontanea tra le abitudini consolidate, senza doverle stravolgerle.

 

SEDENTARIO kcal ATTIVO kcal
30′ attesa per pizza da asporto 15 30′ per cucinare 25
verdura pronta 0 15′ preparazione 10
raccogliere foglie (soffiatore, 30′) 100 raccogliere foglie (rastrello, 30′) 150
servirsi di un giardiniere 0 30’/sett di giardinaggio 360
autolavaggio 18 lavarsi l’auto 300
lasciare il cane fuori porta 2 accompagnare il cane 125
guidare 40′ e camminare 5′ 22 camminare 15′, 2/giorno 60
e-mailing a colleghi vicini (4′) 2 camminare 1′ parlare in piedi 3′ 6
internet shopping (1 ora) 30 walking shopping (1 ora) 145-240
driving-in (30′) 15 parcheggiare e camminare (3/sett/30′) 70
pagare alla pompa 0.6 camminare per pagare 5
ascoltare seduti una lezione (60′) 30 fare una lezione (60′) 70
Ascensore (3°p.) 0,3 Fare le scale (3°p.) 15
Prendere ascensore 3 volte 2 1 rampa di scale 3/sett 15
Parcheggiare più vicino possibile 0,3 Parcheggiare per camminare 2′ (5/sett) 8
TOTALE 237,2 TOTALE 1409

* kcal stimate per una persona di 75-80 kg

Iniziare un’attività sportiva

Il passo successivo per bruciare più calorie è quello di attuare interventi maggiormente strutturati, come sempre finalizzati a uno stile di vita fisicamente attivo. A questo livello il supporto di un buon istruttore o meglio ancora di un personal trainer è molto importante, purché possieda un bagaglio di esperienze e conoscenze adeguato.

La scelta del tipo e del programma di attività fisica dovrà essere disegnato in base alle reali possibilità e alle preferenze del soggetto; dovrà quindi essere gradita (deve piacere) e ben lontana dall’essere percepita come un sacrificio.

Dopo aver proposto vari modelli ed aver scelto di comune accordo quello più adatto al proprio cliente, occorre stabilire un programma di allenamento che consenta, entro termini prefissati, il raggiungimento di un obiettivo REALISTICO (guai a promettere miracoli solo per strappare al cliente un mese di abbonamento in più…).

Infine, è opportuno proporre varie attività, intercambiabili tra loro, per minimizzare l’aspetto noioso e ripetitivo ed esaltare quello ludico e gratificante. A qualsiasi livello del percorso si operi, occorre sempre considerare che l’adesione a lungo termine è positivamente influenzata dalla possibilità di praticarla in compagnia.

Partendo dal presupposto che l’esercizio migliore è quello che sarà possibile eseguire regolarmente, se si vuole bruciare una quota significativa di calorie ed ottenere allo stesso tempo importanti benefici per la propria salute, è buona regola rispettare le seguenti linee guida:

  • FREQUENZA: 3-5 sedute di “allenamento alla salute” settimanali
  • DURATA: compresa tra i 30 ed i 60 minuti a sessione.
  • INTENSITÀ: da moderata a vigorosa
  • TIPO DI ATTIVITÀ: scelta in funzione delle caratteristiche individuali (peso, età, sesso ecc.) e che ricada prevalentemente nell’ambito delle discipline aerobiche (podismo, ciclismo, ginnastica, aerobica o a corpo libero, danza o nuoto).
  • INCORAGGIARE L’ATTIVITÀ FISICA SPONTANEA: spostamenti a piedi, scale ecc.

Ovviamente la marcia di avvicinamento a questi obiettivi dovrà essere graduale e soprattutto avvenire nella piena CONSAPEVOLEZZA che si sta facendo qualcosa di buono per se stessi. Si potrà, per esempio, iniziare semplicemente con 30/40 minuti di cammino nel parco, tre volte alla settimana per un mese. I benefici non tarderanno ad arrivare, sia nell’immediato (grazie al rilascio degli “ormoni della felicità“) che nel lungo periodo.

Incoraggiare  ad un atteggiamento premiante rispetto all’impegno profuso significa anche rendere il cliente consapevole delle calorie bruciate durante l’attività fisica e del significato e delle ripercussioni che queste avranno sulla sua salute. Per scoprire quali sono le attività sportive che permettono di bruciare più calorie abbiamo preparato un modulo di calcolo automatico che potete trovare del seguente articolo: calcolatore consumo calorico.